Dopo le recenti comunicazioni alle segreterie provinciali di Fiom-Cgil e Fim-Cisl da parte dei vertici del Gruppo Ferroli, azienda madre della Lamboghini Calor di Dosso, insieme alla collega Marcella Zappaterra ho portato di nuovo il caso in Regione.
Giovedì 17 novembre, nella sede di Unindustria a Ferrara, i sindacati della Lamborghini Calor e l’azienda si sono incontrati per discutere l’attuazione del piano industriale.
Nel corso del vertice, però, è arrivata la doccia fredda: l’azienda ha comunicato l’avvio, già da gennaio 2017, della cassa integrazione a zero ore per le 44 unità in esubero oltre a disincentivanti condizioni per le eventuali procedure di mobilità volontaria e per il trasferimento alla sede veneta di parte del personale dei settori commerciale, logistica e amministrazione con un riconoscimento minimo e momentaneo di disagio.
Era solo il 20 settembre quando al Ministero dello Sviluppo Economico si è svolto il primo incontro in merito alla vertenza del Gruppo Ferroli alla presenza dei rappresentanti dell’azienda, sindacati e delle Regioni Emilia-Romagna e Veneto. In quell’occasione le parti concordarono sulla necessità di continuare il confronto in sede ministeriale per raccordare le iniziative utili ad accompagnare la difficile fase di ristrutturazione aziendale avviata a luglio. Inoltre, la Regione Emilia-Romagna in sinergia con il Ministero, aveva dichiarato di essere interessata a sostenere progetti di ricerca e sviluppo che l’azienda avesse inteso sviluppare nel sito produttivo della Lamborghini Calor di Dosso, come già in altri casi analoghi.
Con Zappaterra abbiamo perciò depositato nel pomeriggio di oggi un’interrogazione per chiedere alla Giunta regionale quali erano precisamente gli accordi raggiunti al tavolo tra le parti convocato lo scorso settembre e per chiarire quali strumenti la Regione Emilia-Romagna possa attivare per far fronte all’attuale situazione di emergenza.
L’accelerazione dei tempi decisa unilateralmente dall’azienda e le condizioni proposte ai lavoratori in merito alle procedure di mobilità e al trasferimento in altra sede non rispettano assolutamente il principio di responsabilità sociale che dovrebbe caratterizzare l’atteggiamento di un’azienda nei confronti dei propri dipendenti e neppure rispondono agli impegni inizialmente assunti.