#DIAMOFUTURO AD UNA SANITA’ DI QUALITA’ E AD UN WELFARE DI INIZIATIVA
L’Emilia-Romagna è stata una delle prime -e delle poche- Regioni a livello nazionale che ha iniziato ad affrontare per tempo il nodo della riorganizzazione sanitaria. Si tratta di un tema che da un lato tutela uno dei diritti primari della cittadinanza, ma che dall’altro deve tenere conto anche della sostenibilità economica ed organizzativa delle scelte che vi incidono.
Valorizziamo il modello che la provincia di Ferrara sta costruendo: il cosiddetto “hub&spoke”. Si tratta di concentrare in pochi poli (nel caso di Ferrara, nel nuovo ospedale Sant’Anna) la casistica più specializzata, integrando l’assistenza medica e ospedaliera con una rete fatta di centri ospedalieri di primo livello (Mazzolani di Argenta, SS. Annunziata di Cento, Valle Oppio del Delta), case della salute e sedi ambulatoriali periferiche.
Le specializzazioni di Ferrara, da qui in avanti, dovranno ritagliarsi un proprio ruolo anche nel nuovo sistema di area vasta che ricomprende Bologna ed Imola. Valorizzare le nostre eccellenze e mettere a sistema i servizi per accrescerne efficacia e qualità, questi gli obiettivi.
Sistema di area vasta significa anche creare un nuovo sistema di governo di quell’area, nel quale siano i sindaci, e quindi le comunità locali, gli attori della programmazione e delle scelte, basate sulla qualità dei servizi offerti dai territori senza dover penalizzare a tutti i costi realtà più piccole come la nostra.
L’obiettivo principale è quello di diminuire il livello di ospedalizzazione: si può agire in tal senso promuovendo i servizi di prossimità per le cure primarie e per i servizi socio-sanitari, implementando quelli rivolti alle fasce di utenti più fragili. Le liste d’attesa vanno ridotte, anche aprendo maggiormente a visite ambultoriali nel fine settimana per smaltire il carico arretrato che oggi spinge troppi pazienti a rivolgersi altrove, presso servizi sanitari di altre regioni creando così anche diseconomie per il nostro sistema sanitario regionale. Investiamo sulla qualità delle cure e della rete dell’emergenza, partiamo dal ruolo delle università e dalla loro competitività per essere attrattivi rispetto ad altre regioni.
E’ necessario ripensare ed innovare il nostro welfare per conservarne il valore in una stagione di risorse economiche limitate, rafforzando gli strumenti del sistema pubblico, garanzia di universalità di accesso e di qualità dei servizi per e valorizzando in pieno le risorse della comunità. Una comunità forte, irrobustita dalla rete associazionistica e del volontariato, preziosi e insostituibili compagni di viaggio, con i quali consolidare un rapporto già forte.
In questi anni abbiamo completato il processo di accreditamento dei servizi e la riforma delle ASP, realizzando un sistema integrato composto da attori pubblici e del privato sociale che operano con comuni standard di qualità dei servizi da rispettare.
Va spezzata definitivamente la concezione ideologica che contrappone pubblico e privato. La contrapposizione futura sarà fra gli attori che concertano obiettivi e soluzioni di sviluppo, nel quadro di norme che le Istituzioni pubbliche hanno la responsabilità di definire e chi, invece, persegue unicamente logiche di profitto, interessi di parte, dequalificazione dell’offerta e del lavoro. Questo non significa ridurre lo spazio del pubblico ma al contrario ampliarne il ruolo e l’ambizione in un contesto aperto e plurale che indirizza, governa e controlla negli esiti. Di conseguenza si tratta di riconoscere, valorizzare e responsabilizzare la comunità, le risposte che è in grado di offrire, innanzitutto aggregando il bisogno e sviluppando soluzioni per soddisfarlo. Sarà centrale in tal senso un rapporto sinergico con il Terzo Settore.
Abbiamo dunque la necessità di trasformare il nostro welfare di attesa in welfare di iniziativa, focalizzandolo non solo sul singolo individuo o sulle famiglie ma anche sulle comunità locali, orientando il sistema pubblico ai risultati di benessere non solo alla buona erogazione di singole prestazioni, impiegando per questo tutte le risorse comunitarie disponibili.
Fondamentale sarà produrre percorsi di inclusione al lavoro, in particolare delle persone disabili e dei tanti che scivolano nella marginalità sociale ed economica, anche facendo leva su circa 160 milioni di euro del Fondo Sociale Europeo dell’asse Inclusione.
La lettura aggiornata dei bisogni chiede poi di compiere alcune scelte, ri-orientando una parte di risorse verso nuovi bisogni e verso target di popolazione ancora trascurati come ad esempio i giovani che non studiano, non lavorano, non sono in formazione (NEET) o i soggetti colpiti da improvvisa fragilità economica ed esistenziale a causa della crisi o della perdita della casa.
Sono 112.000 i giovani che non studiano e non lavorano in Emilia-Romagna, a cui vogliamo offrire un futuro che parte dal mettersi in gioco: dal servizio civile alla formazione professionale ai tirocini.
Abbiamo la necessità di orientare più decisamente la spesa dei Comuni, oggi spesso assai polverizzata, verso obiettivi comuni ed intorno a priorità individuate, anche attraverso il pieno compimento della riforma istituzionale con la responsabilità unitaria dei servizi alla persona in capo alle Unioni dei Comuni, a cui dobbiamo associare l’introduzione di una Cartella Sociale, capace di monitorare come le istituzioni complessivamente agiscono a sostegno delle persone.