da “La Nuova Ferrara” del 10/12/2016
di Marcello Pradarelli
«Voglio dialogare con chi ha votato No, ma non dite che i Sì sono solo renziani»
Il segretario regionale e il contrastato rapporto tra il ministro e il premier. «Mi fido di Franceschini, Ha una parola sola»
Se dipendesse da Paolo Calvano, quale sarebbe il percorso ideale da seguire per risolvere la crisi di governo e definire la data del voto anticipato?
«Anche se dipendesse da me – risponde il segretario regionale del Pd – la decisione spetterebbe comunque al presidente Mattarella.»
Questo è ovvio.
«Ma è sempre giusto e doveroso dire le cose come stanno.»
Ora può procedere.
«Diciamocelo chiaramente, chi grida “al voto al voto” usa solo uno slogan. Tutti le persone ragionevoli sono consapevoli che bisogna mettere mano alle legge elettorale omogeneizzandola per Camera e Senato, Oltretutto pende sull’Italicum la spada di Damocle della Corte Costituzionale. Quindi in nome del realismo tutti dovrebbero impegnarsi in Parlamento per cambiare la legge elettorale. Se non ci sono le condizioni, perché i partiti del No non vogliono prendersi nemmeno questa responsabilità, allora serve un governo, sostenuto dalla maggioranza più larga possibile, che aspetta la sentenza della Corte Costituzionale, fa qualche eventuale ritocco alla legge elettorale per poi andare rapidamente a votare.»
E il Pd quando lo fa il congresso?
«Dipende. Se si vota entro la fine di marzo la cosa migliore sarebbe fare le primarie per scegliere e legittimare il candidato premier. Se invece serviranno 2-3 mesi in più per fare la legge elettorale allora è doveroso fare il congresso.»
Se vinceva il Sì quasi sicuramente sarebbe nato un partito dalemiano alla sinistra del Pd. La vittoria del No ha fatto rientrare questo progetto o c’è ancora il serio rischio di una scissione?
«Chi oggi usasse nel Pd la parola scissione sarebbe un irresponsabile. Ciò non toglie che serve un confronto serio su come si sta un partito. Abbiamo fatto il congresso 4 anni fa, ma a iscritti ed elettori diamo l’impressione di essere dentro un congresso permanente. Anche il referendum, per alcuni, è diventato un congresso del Pd, una faccenda interna anziché una questione per cambiare l’Italia. E questo non va bene. Anche le Olimpiadi si fanno ogni 4 anni, se si tenessero tutti i mesi sai che noia, non appassionerebbero più nessuno.»
Al momento l’ipotesi è remota, ma che ne direbbe di un governo Franceschini?
«Lasciamo a Mattarella il compito di fare la scelta migliore. Prima si definisce che percorso è possibile fare su legge elettorale e voto, poi chi può meglio fare da guida.»
Riformulo la domanda. Le posizioni di Renzi e Franceschini si stanno divaricando. Personalmente, oltre che politicamente, come vive questo forte contrasto tra i due?
«Stiamo ai fatti. Dopo il referendum c’è stato un solo passaggio in direzione e Franceschini ha concordato sulla linea che da lì è uscita. Conosco Dario, lo conosco molto bene, e ha un pregio, quello che dice in privato lo dice in pubblico, senza sotterfugi, lo so per esperienza diretta. Credo che questo modo di fare e di essere sia di aiuto anche al nostro segretario.»
Lei ha detto che si può ripartire dal 40% di Sì al referendum. In quel 40% però non c’è la quota di elettori del Pd che ha votato No, senza i quali il Pd non può ragionevolmente ambire a essere il primo partito.
«Il 40% più bello è quello preso alle europee del 2104, perché è stato un risultato storico dovuto alla capacità innovativa impressa da Renzi, alla quale si era affiancato un grande compattamento del partito, senza farsi sgambetti.»
E dove è il bello del 40% del referendum?
«Non sono state elezioni, ma il voto referendario ha assunto connotati politici. Di qua il Pd, di là tutti gli altri. So bene che i Sì non sono tutti voti del Pd, ma rappresentano un insieme di persone al quale il Pd deve essere capace di parlare.»
Trascurando quelli di sinistra che hanno votato No? Partire da quel 40% non vuol dire fermarsi lì.
«Certo che voglio discutere, ragionare e confrontarmi con chi ha votato No per tornare a percorrere la stessa strada. Ma vorrei si capisse anche che in quel 40% di Sì non ci sono solo renziani, anzi c’è un sacco di gente che mai e poi mai vorrebbe essere etichettata come renziana, ma vuole un cambiamento.»
Pisapia, l’ex sindaco di Milano, vuole aggregare pezzi di società e di politica collocati a sinistra per ricostituire un alleanza di centrosinistra. In cambio chiede al Pd e a Renzi di rompere con Alfano e Verdini. Concorda?
«L’operazione di Pisapia finalizzata a mettere persone e soggetti di sinistra è positiva e va guardata con interesse. Per quanto riguarda l’alleanza da mettere in campo per le politiche stringerla con una forza che si chiama Nuovo Centrodestra sarebbe assurdo. Adesso questa alleanza parlamentare è indotta dallo stato di necessità derivante dal voto del 2013, stato di necessità che non esisterà quando si tornerà votare. Noi siamo per il centrosinistra.»